Lavoro – Formazione professionale
L’art 33 della Legge 104/1992 ha introdotto un fondamentale strumento per i lavoratori disabili e per coloro che assistono familiari disabili.
La concertazione di esigenze terapeutiche ed attività di sostegno con gli impegni lavorativi è stata progressivamente attuata in virtù di interventi della legislazione e della prassi.
Tali interventi hanno, in un certo senso, perfezionato le possibilità di applicazione dello strumento in oggetto per farlo collimare il più possibile con gli effettivi bisogni della persona da una parte e con i principi di non discriminazione dei lavoratori dall’altra.
La ricostruzione di questo percorso di adattamento e perfezionamento dello strumento parte dalle prescrizioni contenute nella Legge 53/2000 e nel D. Lgs. 151/2001, passa dalla disciplina del D. Lgs. 216/2003, sino ai più recenti orientamenti espressi dal Ministero del Lavoro nella nota 3003/2006.
Tralasciando i numerosi interventi degli enti previdenziali succedutisi a seguito dei provvedimenti legislativi del 2000 e del 2001, in questa sede sembra importante ricordare come i principi antidiscriminatori contenuti nel D. Lgs. 216/2003 abbiano orientato il Ministero del Lavoro a ritenere che anche i permessi in oggetto debbano essere computati ai fini della maturazione del diritto alle ferie ed ella tredicesima mensilità.
Stante il combinato disposto degli articoli 34 comma 5 e 43 comma 2 del D.Lgs. 151/2001 i periodi di permesso venivano computati nell’anzianità di servizio ma al contempo implicavano un effetto in negativo in relazione al diritto alle ferie ed alla tredicesima.
La disciplina dettata dal D.Lgs. 216/2003 ribattezzato in virtù della sua portata e della sua ratio “decreto antidiscriminazioni” ha modificato l’assetto interpretativo delle disposizioni sopra menzionate e sembra aver abrogato quelle disposizioni con esso incompatibili.
E’ proprio sulla base dei nuovi criteri ispirati ad una filosofia antidiscriminatoria che il Ministero del Lavoro in un parere lungimirante del 5 maggio 2004 ha concluso che “ le decurtazioni di ferie e tredicesima mensilità, per effetto dell’incidenza negativa dei permessi ex art. 33 Legge 104/1992, risultano, ora, inammissibili e potrebbero configurare, addirittura, vere e proprie discriminazioni ”.
Sempre alla luce della logica antidiscriminatoria potrebbe essere letto, a nostro avviso, anche un ulteriore e recentissimo parere del citato Ministero il n. 3003/2006.
Oggetto dell’intervento è stata questa volta la possibilità per il lavoratore che presti assistenza a più familiari portori di handicap di usufruire del cumulo di più permessi ex art 33 Legge 104/1992.
Anche in questo caso il Ministero ha risposto positivamente riconoscendo la facoltà del lavoratore di richiedere tanti permessi quanti sono i familiari disabili da assistere, sempre che sia necessaria un’assistenza disgiunta .
Ove il lavoratore dimostri che il supporto ai familiari portatori di handicap non possa essere prestato simultaneamente agli uni ed agli altri e cioè che ognuno abbia bisogno di assistenza esclusiva e continua, avrà il diritto a cumulare più permessi.
Il Ministero ha inoltre precisato che “ l’assistenza può ritenersi disgiunta quando la prestazione nei confronti di più soggetti portatori di handicap può assicurarsi solo con modalità e tempi diversi, richiedendosi che l’assistenza sia contemporaneamente esclusiva e continua per ciascuno degli assistiti ”.
L’onere di provare la necessità di assistenza disgiunta, continuativa ed esclusiva, grava sul lavoratore che dovrà presentare tante domande quanti sono i soggetti disabili che si proponga di accudire.
Sempre in relazione all’istituto che stiamo esaminando opportuni appaiono anche alcuni richiami al diritto vivente.
La giurisprudenza ha avuto modo di specificare che in relazione ai permessi richiesti per accudire figli minori portatori di handicap sussista la stretta connessione della tutela e dell’assistenza con esigenze di celerità ed urgenza.
Con sentenza della sezione penale VI, 07/07/2005, n. 36597 la Cassazione ha riconosciuto il reato di abuso d’ufficio “ nel comportamento del direttore del circolo didattico che abbia negato il rilascio ad un insegnante del permesso previsto dall’art 33 l . 5 febbraio 1992, n. 104 a favore di genitori di minori portatori di handicap, ponendo in dubbio la permanenza della patologia, ancor prima di ricevere un parere in merito da parte della unità sanitaria locale”.
La Suprema Corte ha chiarito che in un caso del genere l’imputato avrebbe dovuto, semmai, concedere in primo luogo il permesso richiesto, riservandosi di negarlo solo a seguito di apposito intervento medico-legale che avesse certificato il regresso della patologia.
L’orientamento della sezione penale della Cassazione appare coerente con quello della sezione lavoro della stessa Corte che con sentenza 05/01/2005, n. 175 ha riconosciuto che “ è il datore di lavoro, e non l’ente previdenziale, il soggetto destinatario dell’obbligo della concessione dei tre giorni di permesso mensile retribuito a favore del lavoratore che assista una persona con handicap grave…così come espressamente previsto dall’art 33 della legge n. 104 del 1992” .
In relazione al requisito della convivenza la giurisprudenza di merito si dimostra costante nel ribadire che il requisito non risulti necessario e quindi non sia più imposto che il lavoratore conviva con la persona bisognosa di assistenza, addirittura il Tribunale di Milano con sentenza del 4 maggio 2004 ha stabilito che si possa fruire dei permessi “ anche nell’ipotesi in cui il lavoratore risulti residente a centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui trovasi il familiare” il citato Tribunale sostiene che in virtù della riforma operata dall’art 19 legge n. 53 del 2000 la continuità dell’assistenza “ non deve essere intesa in senso materiale ed infermieristico, quanto, piuttosto, in senso morale, come presenza periodica e costante” (in tal senso vedi anche Tribunale di Milano, 23 gennaio 2003).
In coerenza con la ratio sottesa alla disciplina che stiamo esaminando è anche l’orientamento giurisprudenziale che dichiara non ostativo alla concessione dei permessi il fatto che altri familiari potrebbero astrattamente prendersi cura della persona disabile.
Infatti, solo un’assistenza in concreto prestata da altri familiari potrebbe legittimare il diniego dei permessi ad altro richiedente (vedi in tal senso Tribunale di Roma, 9 luglio 2004).
Riconosciuto anche il danno esistenziale nell’ipotesi di fissazione di un tetto massimo di ore mensili rispetto ai permessi giornalieri, il Tribunale di Lecce, sezione lavoro, con sentenza 2 marzo 2004, n. 6905 ha stabilito che “ la dipendente pubblica, nelle condizioni ex art 33 comma 6 legge 104/1992 di portatrice di handicap in situazione di gravità, ha diritto a permessi orari di due ore giornaliere, senza limiti massimi mensili…il diniego di tali permessi espone l’amministrazione al risarcimento del danno esistenziale, da liquidarsi in relazione al valore economico delle ore lavorate ingiustamente” .
Corollario di tale orientamento è la disapplicazione della circolare del Ministero del Tesoro che fissa il tetto massimo di diciotto ore mensili ai permessi orari, disapplicazione ribadita nella sentenza ora in commento.
Le specificazioni che nel corso del tempo hanno determinato un assetto del diritto ai permessi in oggetto più adattabile alle specificità dei singoli casi e sempre più idoneo a consentire la conciliazione delle esigenze personali con le esigenze lavorative possono essere soltanto condivise da chi opera per la tutela dei soggetti con disabilità e dei loro familiari.
Si rende necessaria però un’osservazione ulteriore, e cioè che i permessi contemplati dal citato art. 33 sono a tutt’oggi vincolati alla condizione di handicap certificato in situazione di gravità.
Non risultano quindi richiedibili da quei lavoratori che prestino la loro assistenza a familiari anziani bisognosi, anche se non certificati ai sensi della legge 104/1992, come non risultano fruibili da quei genitori che debbano prestare la loro assistenza ad infanti riconosciuti in situazione di handicap ma privi del connotato della gravità.
Rispetto al familiare anziano che non è stato sottoposto agli accertamenti di cui alla Legge 104/1992 niente vieta, ovviamente, di dare impulso all’iter per ottenere il citato riconoscimento; ma una domanda sorge spontanea: il riconoscimento della situazione di handicap deve ritenersi ancora necessario di fronte ad una persona anziana alla quale, magari, è già stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento?
E rispetto ai minori non gravi, sembra giusto non riconoscere i permessi in discussione ai genitori lavoratori? Considerando che nell’età evolutiva le condizioni psicofisiche sono instabili ed in continua mutazione? E considerando che, comunque, un minore portatore di handicap, anche se riconosciuto non grave, richiede sempre una cura ed un’attenzione maggiori rispetto agli altri.
I casi sopra richiamati non integrano alla fine gli estremi di una discriminazione?
Proponiamo infine un’ ulteriore osservazione relativamente all’istituto del congedo straordinario biennale di cui all’art. 42 comma 5 D.Lgs n. 151 del 2001.
In particolare ci chiediamo se quanto stabilito in relazione ai permessi di cui all’art 33 legge n. 104 del 1992 possa valere anche per il congedo biennale straordinario.
E’ innegabile che entrambe le tipologie di permesso abbiano una matrice comune, quella di carattere assistenziale, da concepire in un sistema solidaristico socio-familiare ispirato al principio della gradualità degli interventi.
Sembrerebbe allora più opportuno e più coerente con quanto stabilito dal D.Lgs 216/2003 che anche al congedo speciale biennale venissero riconosciuti effetti positivi sul diritto alle ferie ed alla tredicesima mensilità.
D’altro canto se possiamo ormai ammettere che i principi stabiliti dalla direttiva CE 78/2000 siano entrati nel nostro ordinamento tramite l’attuazione della direttiva stessa attraverso il D.Lgs. 216/2003, dovrebbe anche riconoscersi a tali principi forza abrogativa rispetto alle disposizioni di legge antecedenti con essi incompatibili.
Se un effetto abrogativo si sia verificato rispetto alle disposizioni contrastanti si potrebbe anche affermare che tra le stesse sia rientrato l’art 34 comma 5 del D.Lgs. 151/2001 non più applicabile rispetto ai permessi di cui all’art 33 Legge n. 104 del 1992 e per coerenza logica ed analogica opportunamente inascrivibile anche al congedo speciale di cui stiamo trattando.
In conclusione, quanto già osservato e precisato dal Ministero rispetto ai permessi giornalieri dovrebbe riguardare anche il congedo speciale biennale.
Una diversa interpretazione non potrebbe non integrare una discriminazione tra quei lavoratori che scelgano l’una o l’altra soluzione; soluzione che, non è difficile intuire, dipenderà dai bisogni che in concreto si debbono soddisfare e quindi dall’assetto delle circostanze empiriche variabili da caso a caso.
Dr. Michele Costa
Informarecomunicando – Centro d’informazione per la disabilità.
UILDM Sez. Pisa.